lunedì, marzo 31, 2008

Cumulus congestus

Vivere con la testa fra le nuvole è un problema.
E' un problema prima di tutto per chi ti sta vicino.
Perchè anche se non vuoi, anche se non lo fai con l'intenzione, alla fine ferisci le persone che quotidianamente hanno a che fare pazientemente con la tua sbadataggine.
La mia credo sia una malattia. Qualcosa di patologico. Il mio cervello macina pensieri in continuazione. Tipo che mentre sto scrivendo questo post, sto pensando a quello che devo fare oggi. E a chi ho detto cosa avrei fatto.
Io provo a concentrarmi su una cosa sola alla volta, ma poi i miei pensieri si depositano su una nuvoletta e viaggiano, si disperdono. E se si considera quanto è grande il cielo...
Vivere con la testa fra le nuvole, provoca una serie di disagi, che puntualmente vanno a interferire con l'altro. Poi magari la cosa si risolve, ma solo dopo aver trascorso dei momenti di panico, incazzatura, delusione, tristezza, rassegnazione.
Perchè cerchi di migliorare, ma non ce la fai. Pensi di averlo fatto, ma un secondo dopo ti basta perdere l'auricolare del cellulare per capire che tutto è tornato come prima.
Vivere con la testa fra le nuvole vuol dire:
-perdere le chiavi di casa tre volte e due quelle della macchina;
-accavallare 3 o 4 impegni lo stesso giorno alla stessa ora e cercare di conciliarli in una cosa sola e quindi magari ti trovi ad andare dal dentista con la tua amica che non vedevi da tempo e il bambino a cui devi fare da babysitter;
-dimenticare puntualmente gli appuntamenti;
-perdere tutto quello che si può perdere di importante, come documenti, gioielli, soldi, scarpe, biciclette, giacche;
-lasciare la borsa nella scritta fatta di piante "SAN MARINO" e un attimo dopo trovare i gendarmi che cercano di capire se c'è una bomba dentro;
-dire "ti richiamo fra un attimo...", attimo che dura magari anche 3 giorni.
Vuol dire parlare con una persona, e non ricordarsi cosa ti ha detto nello stesso momento in cui te lo dice, perchè tu eri intenta a guardare le sue labbra e a pensare come poter sistemare quella spaccatura che ha proprio lì, sul labbro inferiore, e quando poi ti ripete quello che ha detto, rimanere stupita come se fosse la prima volta che te lo dice.
E non serve a niente scriversi tutto, perchè o vai in giro con una lavagnetta appesa al collo, o ti rassegni, perchè tanto perderesti pure quella. Come perdi tutti i foglietti su cui appunti le cose da fare.
Io sono piena di questi foglietti. Ogni tanto li raduno in unico foglio per comodità. E poi raduno i fogli, in un altro unico foglio gigante. Un foglio protocollo.

Il poeta non chiede altro
di avere la testa fra le nuvole.
Il logico cerca di mettere le nuvole

nella propria testa.
Ed è la sua, di solito,
quella che si rompe.

G.K. Chesterton - Padre Brown

martedì, marzo 18, 2008

Istantanea

Io non so fare le foto. Mi dispiace tantissimo, ma proprio non le so fare. Riesco sempre a immortalare il momento dopo a quello che vorrei fermare per sempre. E il momento dopo non è quello giusto. Non rappresenta le stesse emozioni di un secondo prima.
E' un limite, e in quanto tale ho dovuto accettarlo. Una volta feci un corso perchè credevo che avrei imparato a fare le foto benissimo. Ma il problema è che non ho l'occhio fotografo.
Ho pure comprato una macchina fotografica digitale, nonostante io ami le reflex.
Allo stesso tempo mi piace fotografe le cose stupide.
Anche se a dire il vero le fotografie non mi piacciono. Mi fanno stare male. Spesso guardo quelle di quando ero piccola. A casa mia ci sono degli album che non sono veri e propri album. Le foto sono messe tutte sparse, ci sono dei salti temporali pazzeschi. Però a me piace così. Non sopporto quelli che mettono con precisione maniacale l'ora il posto e la data, e magari il commento scritti a penna con le guide fatte a matita e poi cancellate.
A volte però delle foto le faccio.
E questa è una. Si chiama "Sole nella tazza" L'ho fatto io.
:)

venerdì, marzo 14, 2008

TooLate

Non ho mai avuto un buon rapporto con il tempo che passa.
Non so da dove sia iniziato questo conflitto, ma il tempo ed io non ci capiamo.
Forse è inziato tutto il giorno della mia nascita, Domenica, giorno di riposo.
La mia famiglia mi dice sempre "sei nata stanca", oltre a dirmi che non sono figlia loro perchè sono "diversa". Peccato che io e mia sorella siamo uguali.
Però un dubbio mi sorge visto che ho il gruppo sanguigno diverso da tutti.
Non ho un buon rapporto nemmeno con gli orologi.
In casa mia non c'è un'orologio che segna la stessa ora. Si copre un arco temporale di 20 minuti. Forse c'è un fuso orario che passa sul mio palazzo. Se in cucina sono le 08.00, in sala sono le 08.05 in bagno le 08.10 e per finire in camera mia le 08.20. Ho provato a metterli a posto, ma tanto ogni orologio ritorna alla sua ora.
Se metto la sveglia, sbaglio puntualmente e quindi suona a orari improbabili.
Non porto l'orologio da polso. Non lo sopporto, mi fa sentire come se ci fosse una morsa che mi ricorda che il tempo passa e devi sbrigarti. Sempre.
Arrivo sempre in ritardo ovunque. Io li calcolo i tempi, giuro, ma poi le lancette prendono a correre per conto loro. E se un minuto prima erano le 20.00, un minuto dopo sono le 20, 25. Io non capisco come possa succedere :)
Il tempo ed io siamo talmente in conflitto, che mi capita di non essere capace a leggere l'ora.
Se voglio dire le 19.45 dico le 18.45 e così via. Sono gli "un quarto alle ..." che mi mettono in crisi. A volte mi sembra di essere una bambina alle prese con le prime letture delle elementari.

Oggi però è successa una cosa. Ho comprato un orologio. Un altro. L'ho preso perchè non stringe. E non mi ricordo di averlo. E segna l'ora. E basta.
L'unica cosa è che è un oggetto di moda, e quindi so già che fine farà.

N.d.R.: ovviamente questo non vuol dire che ora arriverò puntuale, scusatemi.

www.too2late.com

lunedì, marzo 10, 2008

Ricomincio da zero. Forse anche da -3.

Era la prima volta che lavoravo a un Progetto.
Prima di allora non sapevo nemmeno cosa fosse, un Progetto.
Mi piaceva vivere alla giornata. Beh, mi piace tutt'ora, ma provare l'emozione di vedere un traguardo, quello no, non mi era mai capitato. In effetti ero molto emozionata all'idea di costruire qualcosa con le mie mani.
Ero partita da un foglio di carta e una biro. Come si fa per i veri Progetti. Tanti conti, tante cifre. Incastri perfetti di soldi e lavori. Sembrava di giocare a tetris, ma tutto doveva andare a incastro. Perfettamente. Nulla lasciato al caso.
Poi una lunga ricerca. Proprio come nei Veri Progetti. Valutate esigenze, necessità, posizioni, piani, illuminazione. Tutto studiato nei minimi dettagli con un briciolo di adattamento.
Tanti passi avanti, ma anche qualcuno indietro. A volte l'obiettivo sembrava quasi raggiunto, ma poi, come nei veri Progetti, bisognava ricalcolare, riconteggiare e allora ci si fermava un attimo.
A volte avrei voluto mandare all'aria tutto: prendere i fogli che avevo in mano e buttarli per terra, come si fa nei film con allegato un bel "aahh, al diavolo".
Ma la cosa bella dei Progetti è che hai un punto di arrivo.
Quando andavo in montagna con gli scout, non mi piaceva camminare, mi lamentavo sempre. Ma la volta che facemmo la mare- monti e sapevo che sarei arrivata ad Arenzano, ero sempre in testa alla fila, e incitavo tutti a proseguire, perchè ero ansiosa di arrivare. Non mi riconoscevo quasi.
Io, il mio punto di arrivo lo vedevo, lo sfioravo. Leggevo chiaramente la scritta "TRAGUARDO". Io, che alla corsa campestre, arrivavo sempre ultima (eh, oh, non siamo mica nati tutti sportivi).
Ingenuamente mi sono anche fatta scappare un "Sono felice".

Poi però mi sono svegliata da questo sogno. Di colpo. Come quando stai sognando che stai per mangiare un gelato buonissimo e improvvisamente suona la sveglia e sai che devi andare a lavorare. Sono stata riportata alle realtà, e ho scoperto che la vecchina buona che mi offriva la mela rossa luccicante era la strega cattiva che voleva avvelenarmi. A volte, le fiabe....
E non gliene frega un cazzo (concedetemela) se tu ce la stavi mettendo tutta.
I tuoi Progetti??!

Ma svegliati va, il mondo gira intorno ai soldi!! Quando crescerai?!?!

Eh, appunto, era proprio quello che stavo cercando di fare....

martedì, marzo 04, 2008

Il tritapane

Il rumore del tritapane.
Sembra un lamento. Mi ricordo che avevo cinque anni. Mia nonna tritava spesso il pane.
Mi trovavo più o meno come ora a disegnare. Il tritapane è ancora quello di allora, di quelle plastiche sul marroncino classiche degli anni '80. C'è un tubo marrone. Mi sono sempre chiesta come la plastica non venisse maciullata con il pane. Ad ogni spinta del tubo corrisponde un lamento. L'urlo del pane che si spezzetta.
Io scappavo e mi nascondevo sotto il tavolo. Non lo volevo sentire quel lamento.
Li mi sentivo al sicuro. Protetta da quelle gambe non più giovani ma forti.
Lei sorrideva.
Non l'ho mai vista perchè stavo sotto il tavolo ma so che sorrideva.
Quando la nonna sorrideva le si alzavano le guance, quelle guance pienotte e liscissime. E le rughe degli occhi si facevano ancora più profonde e gli occhi a mezzaluna.

“Ninin, vieni!” . e la paura passava.

Ora è buffo, sono nell'altra stanza e il pane piange ancora. Io non scappo più, ma dovremmo cambiarlo questo tritapane.
Ma un tritapane nuovo non lo fa più parlare, il pane.

lunedì, marzo 03, 2008

Gita#1: Montecastello

A volte basta poco.
A 5 minuti da Alessandria.

Persone.











domenica, marzo 02, 2008

Punto.

Nella vita di una macchina ci sono due momenti particolarmente importanti.
Il Primo è quando la compri.
Anzi per l’esattezza quando la vai a ritirare dal concessionario. Quando ci sali sopra per la prima volta e l’odore degli interni nuovi ti penetra nelle narici e non serviranno arbremagique e gled a farlo andare via per almeno un mese. In realtà a me si sente ancora adesso l’odore della macchina nuova.
Ricordo ancora quando salii sulla mia nuova Punto che da li a poco sarebbe diventata la “punto vecchia” perché giustamente hanno pensato bene di fare subito il restyling.
Pensai anche che da li a 4 anni il mio stipendio sarebbe stato quasi dimezzato, ma preferii non dare retta a quelle voci.
Mi ricordo che quando uscii dalla cancello del concessionario ero terrorizzata. Credo che sia l’incubo di tutti uscire con la macchina nuova di pacca e trovare un coglione qualunque che ti cilindra in pieno dopo nemmeno un metro. Guardavo tutti gli specchietti, primo incrocio, specchietti, frena, secondo incrocio, specchietti, semaforo, curva. Il cuore ti batte forte ma cerchi di non pensarci, ma cazzo hai appena lasciato 12.000 euro in piccole rate e non puoi permettere che qualche stronzo infranga il tuo sogno di Donna autonoma (mi fa sempre un certo effetto scrivere il mio cognome all’interno delle frasi)
Sta di fatto che riuscimmo ad arrivare a casa sane e salve.

Poi c’è un momento intermedio. La prima riga.
In realtà la prima non l’ho fatta io. L’ho trovata. Ho subito pensato a una vendetta trasversale. Forse avevo mandato a cagare qualcuno e si era vendicato…
La prima riga che ho fatto io invece me la ricordo eccome. Beh riga…magari serie di righe. Paraurti contro muretto di cemento. Ecco, da lì mi sono sentita più tranquilla. Infatti un paio di mesi dopo ho replicato nello stesso punto contro un muretto di Genova.

Il secondo momento è quando finisci di pagarla. Io finirò ad Aprile. In questi due mesi, so già che mi sentirò come il giorno dal concessionario. Solo che per due mesi sarà dura. Il fatto è che proprio non posso permettere che qualche coglione interferisca nei miei 12.000 euro.
Questo pensiero mi sta agitando da un po’ di giorni. Sto limitando gli spostamenti da una via all’altra nei giorni di pulizia strade.
D’altronde 12.000 euro sono 12.000 euro. Peccato che a oggi me la rivalutano 4.000. Maledetti.