lunedì, aprile 14, 2025

Fuoco

Immagino che al compositore l'ispirazione arrivi esattamente come é capitato a me questa sera.

La nostalgia dei tasti sotto le dita. Una vecchia tastiera ingiallita rumorosa sotto due dita bruciate proprio questa mattina. E poi la musica dei tasti, che in maniera poco sincronica, emettono il suono che da tempo mi mancava. La frenesia di voler comunicare. Come se tutti questi anni di silenzio fossero improvvisamente sbocciati come la primavera che quest'anno, invece, tarda a farsi avanti. 

Questo post é per te. Perché mi manchi. 

Mi sono fatta avvolgere dalle mura di casa, perché sento ancora la tua presenza in ogni angolo. Molti dei posti in cui ti mettevi a dormire sono congelati nel tempo. Mi manca la tua pancia cicciona in cui affondavo la faccia ogni volta che tornavo a casa. O anche quando ti trovavo dormire e allora ti tormentavo, respirando tutto il tuo pelo profumato e con la punta delle labbra poi, pinzavo le tue orecchie gelide. 

E' un dolore che sto tenendo imprigionato, un dolore di cui sono gelosa. Il mio sguardo non si alza mai sui soffitti alti di questa casa. Ti immagino entrare nelle stanze con il tuo passo lento e infastidito. Per poi pretendere di essere guardato. C'é silenzio. Il tuo miagolio non riempie più queste stanze che ora appaiono immense e vuote. Forse dovrebbero istituire anche i funerali degli animali. Perché un discorso di commiato, te lo saresti meritato tutto. Da quanto non ci sei più, ho smesso di avere segreti. Che senso ha avere segreti, se poi nessuno può custodirli, facendoti sentire veramente una stupida ogni volta che ci credevi. Ho smesso di piangere perché non posso aspettare che nessuno arrivi a consolarmi facendomi sentire oltremodo un'idiota per quelle lacrime versate senza merito. E' come se una parte del mio cuore fosse diventata di pietra. 

Mi hai lasciato il silenzio di quell'istante prima di urlare a squarciagola per la paura e il vuoto nello stomaco della discesa delle montagne russe.  

E' cambiato tutto e non é cambiato niente. Vorrei solo dirti che sono stati 15 anni di amore incondizionato, senza mai aspettarsi nulla in cambio. E lo so che ora penserai che sono una sfigata, ma non posso far finta di non stare male perché non ci sei più. Perché adesso devo prendere tutte le decisioni da sola, e sai bene che per un'indecisa come me, é estremamente faticoso. 

Questa mattina mi sono bruciata due dita. E' stato questo dolore che ha risvegliato il dolore che in questi mesi ho cercato di non ascoltare, perché é da deboli piangere per un animale. Ma mi manchi, devo dirlo. Non ho più niente di te, se non un mucchietto di ceneri che ignoro volutamente. Da quando non ci sei più, sono diventata grande, e non sai quanto sia noioso essere grande. E' come se stessi usando la stessa cura che ho nel cercare la parola corretta. Come un ordine perfetto. Perché alla fine l'ordine é noioso. Non ti permette di vedere storie incastrate tra una pila di vestiti accatastati sulla sedia, o tra gli oggetti che apparentemente lasci in giro abbandonati senza senso. 

Gattino mi sta aspettando per andare a dormire. Da quando non ci sei più, dorme quasi tutta la notte sulle mie gambe, e devo stare immobile perché se no se ne va. 

L'unica cosa che vorrei capire, é dove hai consumato le altre otto vite. 

Che comunque non mi sarebbero bastate. 

martedì, agosto 18, 2020

Per forza di cose.

 Ti sto dimenticando.

E non é facile, perché ogni giorno mi devo ricordare di pensarti di meno. Devo ricordarmi che non fai parte della mia vita. Che poi in realtà non ne hai mai fatto parte. Però mi piace fingere che sia stato così. La cosa che mi piaceva fare di più era passare la mia mano tra i tuoi capelli. Usavo i tuoi capelli per accarezzare quella porzione di pelle che sta tra le dita.

Mi rilassava. A te non lo so se piaceva. Non ho avuto il tempo di capirlo. Ma anche se lo avessi capito, non me ne sarebbe fregato niente, perché lo facevo per me. Mica per farti sentire al sicuro tra le mia braccia.


prova

 prova

lunedì, settembre 23, 2019

In punta di sedia


Innanzitutto devo cambiare la sedia.

Per scrivere, non bastano delle parole da allineare con un senso compiuto.
C'è tutta una preparazione dietro, che chi legge, non immagina. In realtà credo nemmeno gli interessi.
Ma questa sedia è troppo bassa e per arrivare a scrivere devo stare con le spalle tutte arricciate, un po' in bilico.

C'è molta luce.
La luce é importante.
Come quando si scattano le fotografie, che la luce perfetta restituisce le emozioni autentiche.
Anche per scrivere ci va la luce giusta, e ora ne ho troppa.
E non mi serve tutto sto casino negli occhi. 

Poi c'è lo spazio.
Anche quello, ne ho davvero tanto.
Ho bisogno di essere abbracciata da porzioni di muro ai lati delle spalle, di essere al sicuro.

E poi voglio un computer con lo schermo molto grande e con la tastiera scura e staccata che faccia rumore. Voglio che il ticchettìo dei tasti sia l'unica imperfezione che disturbi il silenzio di questa stanza.

E' che quando scrivo, é come se raccontassi una storia.
E non importa se é una storia che non interessa a nessuno.
Le storie non nascono per essere raccontate.
Le storie sono racchiuse in ogni istante dell'universo e in ogni frammento di cose sparse.
In una vecchia moneta o in un sogno abbandonati in un cassetto, in una mano che arriccia i capelli o in un carrello della spesa ordinato.
Quando vado al supermercato, ad esempio, guardo sul nastro nero della cassa, cosa comprano le persone. E immagino subito chi sono. Ma non tipo che lavoro fanno, dove vivono.
Immagino che la signora davanti a me ha comprato i dadini di prosciutto e la panna, per cucinare la pasta, perché quella sera gli è venuta nostalgia di quando tornava a casa e sua mamma le faceva trovare un piatto di farfalle con tanta panna e dadini di prosciutto che il macellaio sotto casa glieli aveva tagliati al coltello "proprio fini fini come piacciono a lei, signora". 
E vedo ogni dadino rosa avvolto goduriosamente dalla crema bianca e avverto il suo volersi sentire al sicuro proprio quando la sua bocca si chiuderà sopra la forchetta fredda prima e sulla panna calda e salata, subito dopo.
Che poi la signora é tanto severa con il suo tailleur rosa. 
Ma quella è stata sicuramente una pessima giornata e mangerà in silenzio, anzi no, guarderà distratta la tv, con una piccola lacrima che non ne vuole sapere di uscire.
Ma non può ancora piangere, perchè ha dimenticato la padella vuota sul fuoco e si sta bruciando. 
E che cavolo, penserà, nemmeno la tristezza in pace posso godermi.

"Signora vuole metterla la sua spesa sul nastro?"
"Oh si, scusi é che stasera ho un po' la testa tra le nuvole"
Stasera.



sabato, ottobre 14, 2017

Prove tecniche di trasmissione

Prova

lunedì, agosto 04, 2014

E' l'ora dell'addio fratelli...


Mi manca scrivere. 
Mi manca scrivere pensieri lunghi.
Mi manca quel filo sottile che lega i miei pensieri alla punta delle mie dita. 
Come una marionetta.
Mi manca essere nostalgica. Versare qualche lacrima per il passato.
Mi manca avere i miei momenti di totale isolamento mentale. 
Momenti che nessuno può leggere. 
Se non chi non mi conosce.

Una signora mi ha detto "Non smettere di scrivere"
Non lo farò signora. 
Magari non qui.
Magari altrove.

Da quando è nato mio figlio è stato un punto e a capo.
E' cambiato tutto, ma non è cambiato niente. 
Quando mi guardo allo specchio vedo sempre gli stessi occhi che vedevo 15 anni fa.
Ai capelli bianchi non bado. 
Alle rughe di espressione un pò di più, ma basta guardarsi senza occhiali e la miopia funziona meglio di photoshop. 

Ora che sono mamma voglio lasciarti in eredità quello di più prezioso di cui dispongo.
L'unica certezza che ho sempre posseduto.
L'unico tesoro che custodisco gelosamente.

Ricordati che un albero cambia le foglie, mette i fiori, da i frutti.
Ma le radici, restano affondate nella terra.
E quelle non le vede nessuno.



"E' l'ora dell'addio, fratelli, è l'ora di partir,
il canto si fa triste, è ver, partire è un po' morir.

Ma noi ci rivedremo ancor, ci rivedremo un dì.
Arrivederci allor, fratelli, arrivederci, sì..."

martedì, febbraio 11, 2014

Oggi, piove.



Oggi piove.
E' la tua prima frase.
L'hai detta il 2 febbraio 2014.

Oggi, piove.
Stava piovendo davvero.
Qui piove sempre, in Alessandria.
In realtà oggi c'è il sole. Vorrei portarti sulle colline a respirare l'aria buona e a raccogliere foglie secche e legnetti. A salutare le persone che camminano nelle strade in salita dei paesi.
A far colorare le tue guance di rosso. E invece guardo dall'ufficio i riflessi del sole fermarsi sulla tenda bianca.

Oggi, piove.
Vorrei essere una di quelle mamme che annotano tutto su un diario.
I primi passi, il primo taglio di capelli, la prima volta che hai preso il cucchiaio, il primo sorriso, la prima cacca, la prima caduta, il primo giocattolo.
Io non sono così.
Ho pensato, tanto a te che te ne frega del giorno in cui lo hai fatto.
Anche se lo scrivo, non potrai mai capire, almeno per ora, che cosa prova una mamma nel sentire la prima frase pronunciata da suo figlio.
Scorgere nella tua voce il tentativo di sentirti un po' più grande.
Il coraggio di buttarti, di osare. Due parole di seguito. Guardandomi, sperando di trovare l'approvazione nel mio sguardo. La felicità trasformarsi in commozione e viceversa.

In realtà questo non lo potrai mai capire perchè non sarai mai una mamma.
Sei un maschio.
Il mio promogenito.
Il mio bambino.
Mio figlio.

lunedì, novembre 11, 2013

Il blocco dello scrittore.


Scrivere non è cosa da poco.
O meglio.
Scrivere bene.
Scrivere, lo sanno fare tutti.
Ma non tutti sanno provare piacere nel sentire l'inchiostro scorrere tra le dita.
Nell'ascoltare quella pallina, dosare la quantità giusta di inchiostro, e curvare e ricurvare e saltare sui puntini sulle i.
Non tutti sanno, che per scrivere, ci sono un quando e un dove.
E anche un come.
Non tutti sanno che se perdi quell'attimo, se te lo portano via, anche se cerchi di tenerlo nella tua testa, e le tue palpebre inziano a tremare, il tuo respiro a rallentare, e speri che nessuno butti le sue parole nell'aria intorno a te, ecco se perdi quell'attimo, poi probabilmente ti verrà da piangere.
Non tutti sanno che trattenere le lacrime, è difficile quasi quanto trattenere uno starnuto.

Non tutti sanno, ad esempio, che una virgola fa la differenza.
Ancor di più un punto.
Che a volte, prima di andare avanti, serve prendere fiato.
Non tutti sanno che la luce sbagliata, nella stanza sbagliata, non serve a niente.
Che la biro che lascia uscire l'inchiostro con fatica, è un pianoforte scordato tra le mani.
Che  un tasto che non sprofonda sotto le tue dita, è una patatina lasciata troppo tempo all'aperto.

Scrivere bene è una carezza data sulla testa.
Una sigaretta fumata sul balcone, da sola, godendosi i rumori della notte.
Scrivere è la morfina nel paziente dolorante.
La prima masticata dei cicles ripieni.
Un sacco pieno di legumi secchi in cui affondare la mano.
Abitare vicino alla ferrovia.
La corsia dei detersivi per i panni, al supermercato.
Sfogliare l'enciclopedia medica degli anni 80.

Scrivere è farti leggere.
Perchè sai che qualcuno ti dirà che sei brava.
Ma a te sembrerà come per un elettricista avvitare una lampadina.
Senti solo che lo devi fare, per dare luce.

Scrivere è riconquistare quella bambina che sa sempre godere di un gelato fiordilatte e crema.

Scrivere, per me, è come respirare. Mi serve farlo, per vivere.