martedì, agosto 18, 2020

Per forza di cose.

 Ti sto dimenticando.

E non é facile, perché ogni giorno mi devo ricordare di pensarti di meno. Devo ricordarmi che non fai parte della mia vita. Che poi in realtà non ne hai mai fatto parte. Però mi piace fingere che sia stato così. La cosa che mi piaceva fare di più era passare la mia mano tra i tuoi capelli. Usavo i tuoi capelli per accarezzare quella porzione di pelle che sta tra le dita.

Mi rilassava. A te non lo so se piaceva. Non ho avuto il tempo di capirlo. Ma anche se lo avessi capito, non me ne sarebbe fregato niente, perché lo facevo per me. Mica per farti sentire al sicuro tra le mia braccia.


prova

 prova

lunedì, settembre 23, 2019

In punta di sedia


Innanzitutto devo cambiare la sedia.

Per scrivere, non bastano delle parole da allineare con un senso compiuto.
C'è tutta una preparazione dietro, che chi legge, non immagina. In realtà credo nemmeno gli interessi.
Ma questa sedia è troppo bassa e per arrivare a scrivere devo stare con le spalle tutte arricciate, un po' in bilico.

C'è molta luce.
La luce é importante.
Come quando si scattano le fotografie, che la luce perfetta restituisce le emozioni autentiche.
Anche per scrivere ci va la luce giusta, e ora ne ho troppa.
E non mi serve tutto sto casino negli occhi. 

Poi c'è lo spazio.
Anche quello, ne ho davvero tanto.
Ho bisogno di essere abbracciata da porzioni di muro ai lati delle spalle, di essere al sicuro.

E poi voglio un computer con lo schermo molto grande e con la tastiera scura e staccata che faccia rumore. Voglio che il ticchettìo dei tasti sia l'unica imperfezione che disturbi il silenzio di questa stanza.

E' che quando scrivo, é come se raccontassi una storia.
E non importa se é una storia che non interessa a nessuno.
Le storie non nascono per essere raccontate.
Le storie sono racchiuse in ogni istante dell'universo e in ogni frammento di cose sparse.
In una vecchia moneta o in un sogno abbandonati in un cassetto, in una mano che arriccia i capelli o in un carrello della spesa ordinato.
Quando vado al supermercato, ad esempio, guardo sul nastro nero della cassa, cosa comprano le persone. E immagino subito chi sono. Ma non tipo che lavoro fanno, dove vivono.
Immagino che la signora davanti a me ha comprato i dadini di prosciutto e la panna, per cucinare la pasta, perché quella sera gli è venuta nostalgia di quando tornava a casa e sua mamma le faceva trovare un piatto di farfalle con tanta panna e dadini di prosciutto che il macellaio sotto casa glieli aveva tagliati al coltello "proprio fini fini come piacciono a lei, signora". 
E vedo ogni dadino rosa avvolto goduriosamente dalla crema bianca e avverto il suo volersi sentire al sicuro proprio quando la sua bocca si chiuderà sopra la forchetta fredda prima e sulla panna calda e salata, subito dopo.
Che poi la signora é tanto severa con il suo tailleur rosa. 
Ma quella è stata sicuramente una pessima giornata e mangerà in silenzio, anzi no, guarderà distratta la tv, con una piccola lacrima che non ne vuole sapere di uscire.
Ma non può ancora piangere, perchè ha dimenticato la padella vuota sul fuoco e si sta bruciando. 
E che cavolo, penserà, nemmeno la tristezza in pace posso godermi.

"Signora vuole metterla la sua spesa sul nastro?"
"Oh si, scusi é che stasera ho un po' la testa tra le nuvole"
Stasera.



sabato, ottobre 14, 2017

Prove tecniche di trasmissione

Prova

lunedì, agosto 04, 2014

E' l'ora dell'addio fratelli...


Mi manca scrivere. 
Mi manca scrivere pensieri lunghi.
Mi manca quel filo sottile che lega i miei pensieri alla punta delle mie dita. 
Come una marionetta.
Mi manca essere nostalgica. Versare qualche lacrima per il passato.
Mi manca avere i miei momenti di totale isolamento mentale. 
Momenti che nessuno può leggere. 
Se non chi non mi conosce.

Una signora mi ha detto "Non smettere di scrivere"
Non lo farò signora. 
Magari non qui.
Magari altrove.

Da quando è nato mio figlio è stato un punto e a capo.
E' cambiato tutto, ma non è cambiato niente. 
Quando mi guardo allo specchio vedo sempre gli stessi occhi che vedevo 15 anni fa.
Ai capelli bianchi non bado. 
Alle rughe di espressione un pò di più, ma basta guardarsi senza occhiali e la miopia funziona meglio di photoshop. 

Ora che sono mamma voglio lasciarti in eredità quello di più prezioso di cui dispongo.
L'unica certezza che ho sempre posseduto.
L'unico tesoro che custodisco gelosamente.

Ricordati che un albero cambia le foglie, mette i fiori, da i frutti.
Ma le radici, restano affondate nella terra.
E quelle non le vede nessuno.



"E' l'ora dell'addio, fratelli, è l'ora di partir,
il canto si fa triste, è ver, partire è un po' morir.

Ma noi ci rivedremo ancor, ci rivedremo un dì.
Arrivederci allor, fratelli, arrivederci, sì..."

martedì, febbraio 11, 2014

Oggi, piove.



Oggi piove.
E' la tua prima frase.
L'hai detta il 2 febbraio 2014.

Oggi, piove.
Stava piovendo davvero.
Qui piove sempre, in Alessandria.
In realtà oggi c'è il sole. Vorrei portarti sulle colline a respirare l'aria buona e a raccogliere foglie secche e legnetti. A salutare le persone che camminano nelle strade in salita dei paesi.
A far colorare le tue guance di rosso. E invece guardo dall'ufficio i riflessi del sole fermarsi sulla tenda bianca.

Oggi, piove.
Vorrei essere una di quelle mamme che annotano tutto su un diario.
I primi passi, il primo taglio di capelli, la prima volta che hai preso il cucchiaio, il primo sorriso, la prima cacca, la prima caduta, il primo giocattolo.
Io non sono così.
Ho pensato, tanto a te che te ne frega del giorno in cui lo hai fatto.
Anche se lo scrivo, non potrai mai capire, almeno per ora, che cosa prova una mamma nel sentire la prima frase pronunciata da suo figlio.
Scorgere nella tua voce il tentativo di sentirti un po' più grande.
Il coraggio di buttarti, di osare. Due parole di seguito. Guardandomi, sperando di trovare l'approvazione nel mio sguardo. La felicità trasformarsi in commozione e viceversa.

In realtà questo non lo potrai mai capire perchè non sarai mai una mamma.
Sei un maschio.
Il mio promogenito.
Il mio bambino.
Mio figlio.

lunedì, novembre 11, 2013

Il blocco dello scrittore.


Scrivere non è cosa da poco.
O meglio.
Scrivere bene.
Scrivere, lo sanno fare tutti.
Ma non tutti sanno provare piacere nel sentire l'inchiostro scorrere tra le dita.
Nell'ascoltare quella pallina, dosare la quantità giusta di inchiostro, e curvare e ricurvare e saltare sui puntini sulle i.
Non tutti sanno, che per scrivere, ci sono un quando e un dove.
E anche un come.
Non tutti sanno che se perdi quell'attimo, se te lo portano via, anche se cerchi di tenerlo nella tua testa, e le tue palpebre inziano a tremare, il tuo respiro a rallentare, e speri che nessuno butti le sue parole nell'aria intorno a te, ecco se perdi quell'attimo, poi probabilmente ti verrà da piangere.
Non tutti sanno che trattenere le lacrime, è difficile quasi quanto trattenere uno starnuto.

Non tutti sanno, ad esempio, che una virgola fa la differenza.
Ancor di più un punto.
Che a volte, prima di andare avanti, serve prendere fiato.
Non tutti sanno che la luce sbagliata, nella stanza sbagliata, non serve a niente.
Che la biro che lascia uscire l'inchiostro con fatica, è un pianoforte scordato tra le mani.
Che  un tasto che non sprofonda sotto le tue dita, è una patatina lasciata troppo tempo all'aperto.

Scrivere bene è una carezza data sulla testa.
Una sigaretta fumata sul balcone, da sola, godendosi i rumori della notte.
Scrivere è la morfina nel paziente dolorante.
La prima masticata dei cicles ripieni.
Un sacco pieno di legumi secchi in cui affondare la mano.
Abitare vicino alla ferrovia.
La corsia dei detersivi per i panni, al supermercato.
Sfogliare l'enciclopedia medica degli anni 80.

Scrivere è farti leggere.
Perchè sai che qualcuno ti dirà che sei brava.
Ma a te sembrerà come per un elettricista avvitare una lampadina.
Senti solo che lo devi fare, per dare luce.

Scrivere è riconquistare quella bambina che sa sempre godere di un gelato fiordilatte e crema.

Scrivere, per me, è come respirare. Mi serve farlo, per vivere.

mercoledì, luglio 03, 2013

La casa di Bea.

La casa di Bea era in una traversa di una via del centro città.

Distava cinque minuti a piedi da casa mia, ma io riuscivo sempre ad arrivare in ritardo.
Aveva un campanello signorile. Non come il nostro di metallo grigio gracchiante.
Era di ottone giallo. Con i nomi scritti in corsivo.
Il piccolo portone di legno si apriva su un corridoio un pò buio e a destra, a ventaglio, c'era la scalinata di marmo per salire negli appartamenti, che a me ricordava quella di Via col Vento.
La cosa figa della casa di Bea era la doppia porta. 
Quelli del piano di sotto lasciavano sempre aperta la prima porta, così si vedeva la seconda porta di vetro opaco e io pensavo sempre "Ma non hanno paura dei ladri?"
A me piaceva da morire andare a casa sua perchè era una casa magica.
Dentro era antica. 
A destra c'era lo studio dove appunto studiava sua sorella...

La sorella di Bea ha una chioma di capelli riccissimi ed è molto raffinata. Io mi vergogno sempre un pò a salutarla perchè lei è più grande e studia su montagne di libri difficilissimi. In quello studio ci sono libri dappertutto. Sulla scrivania, sulla libreria, per terra. La sorella di Bea secondo me da grande farà la professoressa.
Poi c'è la sala. Ha due porte. Per terra c'è un tappeto un pò consumato che copre il pavimento di legno, che scricchiola quando ci cammini sopra. Lì la mamma di Bea riceve le sue amiche. A me piace la sala perchè anche quella sembra quella di Via Col Vento. Mi sembra anche che ci siano le tende verde scuro di velluto. Poi ci sono dei posaceneri sui braccioli che non cadono mai. Nella sala c'è il pianoforte a muro. Bea suona il pianoforte. Io ogni tanto quando arrivo troppo presto che c'é ancora la sua insegnate, mi incanto ad asoltarla.
Fa i solfeggi e poi suona una musica che fa un pò paura. Mi piace guardare le dita sottili che sanno perfettamente quello che fanno.
Ecco a questo punto inizia la magia perchè dopo la sala c'é un corridio lunghissimo con il pavimento fatto tutto di mosaico. La magia é che per terra, alcune mattonelle, sono d'oro!
Io e Bea ci divertiamo a cercarle e a segnarle con dei pezzetti di carta. Sono magiche perchè da una volta ll'altra cambiano posto. Davvero!

La prima stanza del corridio è la cucina, sulla destra.
Dentro c'è sempre la Tata con il grembiule. La Tata ha la voce un pò roca, ma dice sempre cose gentili e incoraggianti. Anche se ci sgrida quando non studiamo, lo fa con il sorriso. Non ci fa paura infatti, per questo noi la ascoltiamo sempre.
In messo alla cucina c'è il tavolo bianco e ci sono sempre le tazze per bere l'acqua. Ognuno ha la sua, con i segni zodiacali. Una volta ho provato a farlo pure a casa mia di lasciare le tazze per bere, ma non ha funzionato. Mia mamma ha detto:"Perchè prepari per la colazione?"
Poi c'è la dispensa. Io non sapevo cosa fosse la dispensa prima di vederla da Bea. Dentro ci sono le cose da mangiare.

Di fronte alla cucina c'è la camera dove c'è l'arpa della sorella di Bea. Adesso che ci penso bene. in effetti forse da grande farà l'insegnante di musica. Poi c'è un'altro pianoforte. Più grande. No forse un violino. Beh sicuramente c'è un'insegnante di musica dentro.
Dopo la cucina c'è la camera degli ospiti. Io una volta ho pensato "Chissà che ospiti ospitano in questa camera", Allora mi sono immaginata che essere ospite a casa di bea deve essere bello perchè ti danno pure gli asciugamani con la O di ospite. 
Di fronte la camera degli ospiti c'è la camera della mamma di Bea.

La mamma di Bea è una signora molto, molto raffinata. E' bionda, sempre in ordine e curata. Con gli orecchini. Ha l'accento di Roma. Io lo so perchè ho un sacco di cugini lì e parlano come lei.
Ogni tanto quando arrivo da Bea è dentro al letto che legge. Sembra una principessa.
Nella camera della mamma di Bea c'è la tv con il videoregistratore. Anche se ci sono delle pile di videocassette della kodak, noi guardiamo sempre, sedute per terra, Labirinth e I Goonies. 
Fanno un pò paura in effetti, ma con Bea, io non ho mai paura, anche se è più piccola di me. 
Sul pomello dell'armadio della camera da letto c'è attaccato un pupazzo di carta che abbiamo fatto a scuola. Il suo è più bello del mio, credo perchè ha gli occhi più grandi e le guance più rosse.

Poi dopo c'è il bagno.
Ecco io non ho mai visto un bagno così grande. Da noi per fare il bidet basta che ti sposti di lato. Da lei devi fare almeno dieci passi per raggiungere il bidet.  Poi c'è la vasca dove una volta abbiamo fatto il bagno insieme e a me è venuta una irritazione sulle gambe e il sedere e loro erano preoccupate ma io dicevo di non preoccuparsi che magari era perchè ero stata troppo a mollo.
Mi ricordo ancora il profumo del bagnoschiuma di quella volta...

Di fronta al bagno c'è la cameretta di Bea e di sua sorella.
Oddio cameretta è un pò riduttivo.
Ci sono due cose fighe lì dentro: il letto di Bea che è altissimo. Io avrei paura a dormire in un letto così alto. 
E poi c'è il poster di Freddy Mercury sopra il letto della sorella di Bea. So che è lui perchè c'è scritto sopra come si chiama.
Poi c'è Tippete, il coniglio di Bea. Ma è finto eh. 
Nella camera di Bea ci sono i mobili di legno scuro. 
C'è anche la sveglia verde acqua che quando suona è ora di andare a scuola. Fa: "Ti..titi...tititi..titititi. 
Bea non la sente mai.
Mia mamma mi fa andare un sacco di volte a dormire lì perché sa che mi piace da morire. Non mi ricordo quando è stata la prima volta, ma secondo me avevo 5 o 6 anni. 

La casa di Bea è quasi finita perchè poi ci sono solo altre tre porte.
In una ci sono delle cose che ogni volta cambiano posto. Lì ci sono giochi, dei vestiti e un passeggino giocattolo. Poi c'è il tirchitracks e il gameboy. 
Poi c'è il ripostiglio e un'altra camera con un bagno dove c'è la lavatrice.
Ma noi non ci andiamo mai. Roba da grandi.

Ora è proprio finita, putroppo.

Io spero che chi c'è dentro ora l'abbia lasciata così, se no ha rovinato la magia. 
E spero anche che, altre due amiche, possano passarci dentro un'infanzia, come quella che abbiamo passato io e Bea.