lunedì, novembre 11, 2013

Il blocco dello scrittore.


Scrivere non è cosa da poco.
O meglio.
Scrivere bene.
Scrivere, lo sanno fare tutti.
Ma non tutti sanno provare piacere nel sentire l'inchiostro scorrere tra le dita.
Nell'ascoltare quella pallina, dosare la quantità giusta di inchiostro, e curvare e ricurvare e saltare sui puntini sulle i.
Non tutti sanno, che per scrivere, ci sono un quando e un dove.
E anche un come.
Non tutti sanno che se perdi quell'attimo, se te lo portano via, anche se cerchi di tenerlo nella tua testa, e le tue palpebre inziano a tremare, il tuo respiro a rallentare, e speri che nessuno butti le sue parole nell'aria intorno a te, ecco se perdi quell'attimo, poi probabilmente ti verrà da piangere.
Non tutti sanno che trattenere le lacrime, è difficile quasi quanto trattenere uno starnuto.

Non tutti sanno, ad esempio, che una virgola fa la differenza.
Ancor di più un punto.
Che a volte, prima di andare avanti, serve prendere fiato.
Non tutti sanno che la luce sbagliata, nella stanza sbagliata, non serve a niente.
Che la biro che lascia uscire l'inchiostro con fatica, è un pianoforte scordato tra le mani.
Che  un tasto che non sprofonda sotto le tue dita, è una patatina lasciata troppo tempo all'aperto.

Scrivere bene è una carezza data sulla testa.
Una sigaretta fumata sul balcone, da sola, godendosi i rumori della notte.
Scrivere è la morfina nel paziente dolorante.
La prima masticata dei cicles ripieni.
Un sacco pieno di legumi secchi in cui affondare la mano.
Abitare vicino alla ferrovia.
La corsia dei detersivi per i panni, al supermercato.
Sfogliare l'enciclopedia medica degli anni 80.

Scrivere è farti leggere.
Perchè sai che qualcuno ti dirà che sei brava.
Ma a te sembrerà come per un elettricista avvitare una lampadina.
Senti solo che lo devi fare, per dare luce.

Scrivere è riconquistare quella bambina che sa sempre godere di un gelato fiordilatte e crema.

Scrivere, per me, è come respirare. Mi serve farlo, per vivere.

mercoledì, luglio 03, 2013

La casa di Bea.

La casa di Bea era in una traversa di una via del centro città.

Distava cinque minuti a piedi da casa mia, ma io riuscivo sempre ad arrivare in ritardo.
Aveva un campanello signorile. Non come il nostro di metallo grigio gracchiante.
Era di ottone giallo. Con i nomi scritti in corsivo.
Il piccolo portone di legno si apriva su un corridoio un pò buio e a destra, a ventaglio, c'era la scalinata di marmo per salire negli appartamenti, che a me ricordava quella di Via col Vento.
La cosa figa della casa di Bea era la doppia porta. 
Quelli del piano di sotto lasciavano sempre aperta la prima porta, così si vedeva la seconda porta di vetro opaco e io pensavo sempre "Ma non hanno paura dei ladri?"
A me piaceva da morire andare a casa sua perchè era una casa magica.
Dentro era antica. 
A destra c'era lo studio dove appunto studiava sua sorella...

La sorella di Bea ha una chioma di capelli riccissimi ed è molto raffinata. Io mi vergogno sempre un pò a salutarla perchè lei è più grande e studia su montagne di libri difficilissimi. In quello studio ci sono libri dappertutto. Sulla scrivania, sulla libreria, per terra. La sorella di Bea secondo me da grande farà la professoressa.
Poi c'è la sala. Ha due porte. Per terra c'è un tappeto un pò consumato che copre il pavimento di legno, che scricchiola quando ci cammini sopra. Lì la mamma di Bea riceve le sue amiche. A me piace la sala perchè anche quella sembra quella di Via Col Vento. Mi sembra anche che ci siano le tende verde scuro di velluto. Poi ci sono dei posaceneri sui braccioli che non cadono mai. Nella sala c'è il pianoforte a muro. Bea suona il pianoforte. Io ogni tanto quando arrivo troppo presto che c'é ancora la sua insegnate, mi incanto ad asoltarla.
Fa i solfeggi e poi suona una musica che fa un pò paura. Mi piace guardare le dita sottili che sanno perfettamente quello che fanno.
Ecco a questo punto inizia la magia perchè dopo la sala c'é un corridio lunghissimo con il pavimento fatto tutto di mosaico. La magia é che per terra, alcune mattonelle, sono d'oro!
Io e Bea ci divertiamo a cercarle e a segnarle con dei pezzetti di carta. Sono magiche perchè da una volta ll'altra cambiano posto. Davvero!

La prima stanza del corridio è la cucina, sulla destra.
Dentro c'è sempre la Tata con il grembiule. La Tata ha la voce un pò roca, ma dice sempre cose gentili e incoraggianti. Anche se ci sgrida quando non studiamo, lo fa con il sorriso. Non ci fa paura infatti, per questo noi la ascoltiamo sempre.
In messo alla cucina c'è il tavolo bianco e ci sono sempre le tazze per bere l'acqua. Ognuno ha la sua, con i segni zodiacali. Una volta ho provato a farlo pure a casa mia di lasciare le tazze per bere, ma non ha funzionato. Mia mamma ha detto:"Perchè prepari per la colazione?"
Poi c'è la dispensa. Io non sapevo cosa fosse la dispensa prima di vederla da Bea. Dentro ci sono le cose da mangiare.

Di fronte alla cucina c'è la camera dove c'è l'arpa della sorella di Bea. Adesso che ci penso bene. in effetti forse da grande farà l'insegnante di musica. Poi c'è un'altro pianoforte. Più grande. No forse un violino. Beh sicuramente c'è un'insegnante di musica dentro.
Dopo la cucina c'è la camera degli ospiti. Io una volta ho pensato "Chissà che ospiti ospitano in questa camera", Allora mi sono immaginata che essere ospite a casa di bea deve essere bello perchè ti danno pure gli asciugamani con la O di ospite. 
Di fronte la camera degli ospiti c'è la camera della mamma di Bea.

La mamma di Bea è una signora molto, molto raffinata. E' bionda, sempre in ordine e curata. Con gli orecchini. Ha l'accento di Roma. Io lo so perchè ho un sacco di cugini lì e parlano come lei.
Ogni tanto quando arrivo da Bea è dentro al letto che legge. Sembra una principessa.
Nella camera della mamma di Bea c'è la tv con il videoregistratore. Anche se ci sono delle pile di videocassette della kodak, noi guardiamo sempre, sedute per terra, Labirinth e I Goonies. 
Fanno un pò paura in effetti, ma con Bea, io non ho mai paura, anche se è più piccola di me. 
Sul pomello dell'armadio della camera da letto c'è attaccato un pupazzo di carta che abbiamo fatto a scuola. Il suo è più bello del mio, credo perchè ha gli occhi più grandi e le guance più rosse.

Poi dopo c'è il bagno.
Ecco io non ho mai visto un bagno così grande. Da noi per fare il bidet basta che ti sposti di lato. Da lei devi fare almeno dieci passi per raggiungere il bidet.  Poi c'è la vasca dove una volta abbiamo fatto il bagno insieme e a me è venuta una irritazione sulle gambe e il sedere e loro erano preoccupate ma io dicevo di non preoccuparsi che magari era perchè ero stata troppo a mollo.
Mi ricordo ancora il profumo del bagnoschiuma di quella volta...

Di fronta al bagno c'è la cameretta di Bea e di sua sorella.
Oddio cameretta è un pò riduttivo.
Ci sono due cose fighe lì dentro: il letto di Bea che è altissimo. Io avrei paura a dormire in un letto così alto. 
E poi c'è il poster di Freddy Mercury sopra il letto della sorella di Bea. So che è lui perchè c'è scritto sopra come si chiama.
Poi c'è Tippete, il coniglio di Bea. Ma è finto eh. 
Nella camera di Bea ci sono i mobili di legno scuro. 
C'è anche la sveglia verde acqua che quando suona è ora di andare a scuola. Fa: "Ti..titi...tititi..titititi. 
Bea non la sente mai.
Mia mamma mi fa andare un sacco di volte a dormire lì perché sa che mi piace da morire. Non mi ricordo quando è stata la prima volta, ma secondo me avevo 5 o 6 anni. 

La casa di Bea è quasi finita perchè poi ci sono solo altre tre porte.
In una ci sono delle cose che ogni volta cambiano posto. Lì ci sono giochi, dei vestiti e un passeggino giocattolo. Poi c'è il tirchitracks e il gameboy. 
Poi c'è il ripostiglio e un'altra camera con un bagno dove c'è la lavatrice.
Ma noi non ci andiamo mai. Roba da grandi.

Ora è proprio finita, putroppo.

Io spero che chi c'è dentro ora l'abbia lasciata così, se no ha rovinato la magia. 
E spero anche che, altre due amiche, possano passarci dentro un'infanzia, come quella che abbiamo passato io e Bea. 

domenica, giugno 30, 2013

Giordano Sella.

Quello che continuo a chiedermi, è se avessi davvero intenzioni di ucciderti.

"Il signore col cane, ve lo ricordate ?" dico a tutti, "quello che abitava vicino a me".

Sei sceso in cantina una mattina qualunque. Una mattina in cui tua moglie aveva preso servizio come al solito nell'ufficio Aziende dell'inps, al secondo piano. Dove io vado sempre per le pratiche della maternità. Quell'ufficio dove pure le piante sono tristi di essere lì.
Una mattina in cui tuo figlio era probabilmente andato a lavorare. Chissà se poi l'aveva trovato di nuovo il lavoro. Una fidanzata nuova si, l'aveva trovata. Io e lui ci salutiamo sempre con un certo imbarazzo, sai?
Quella mattina tua mamma ti aspettava a casa sua. E come tutte le mamme, quando non ti ha visto arrivare, si è preoccupata.
Ma tu quella mattina sei sceso in cantina e io non riesco a non pensare che la tua intenzione fosse davvero quella di ucciderti.
Non sei sceso in cantina. Sei andato a nasconderti in cantina. 

"Dicono sia stato un incidente" mi ha detto l'impiegata dell'Inps, la collega di tua moglie. 

Ho immaginato tua moglie scendere le scale un pò di fretta, magari poco preoccupata. Nessuno si spara in pieno giorno. 
Forse sei stata la prima persona che ho conosciuto quando sono andata a vivere nel palazzo giallo, quello con il grande balcone di pietra che fa angolo. 
E' stata la mia prima casa da single. E tu, insieme alla dottoressa con i gatti, e al vecchietto che la figlia lo veniva a trovare tutti i giorni e poi la salutava dalla finestra, e i signori con i bambini che non ho capito a che cosa giocavano per fare tutto il casino che facevano sopra la mia testa, siete stati i miei primi veri vicini di casa.
Quando la sera mi affacciavo dalla finestra della camera da letto, ti vedevo dall'alto, seduto sui gradini della vetrina dell'agenzia immobiliare. Parlavi sempre con il tuo cane e poi gli accarezzavi la testa. 

"Deve volergli davvero bene" pensavo sorridendo. 

Forse nemmeno l'amore per il tuo cane, quella mattina, ha saputo fermare la tua mano. 
Ti sei sparato con un fucile. Non deve essere facile impugnare un fucile, e decidere di essere tu la causa della tua fine. Voglio dire, devi essere bravo, un fucile è lungo, non è una pistola. Ora che guardi tutta la canna, magari fai in tempo a cambiare idea.

"Dai..il signore con il cane...quello con i baffi" insistevo.

In realtà quando ho letto il manifesto funebre ho pensato a un infarto.
Voglio dire, Giordano, 56 anni, prossimo alla pensione, una bella moglie, una bella casa, un cane, un figlio con una fidanzata simpatica, la croce verde.
Una sera ci eravamo incontrati a una sagra.
Avevi le guance dipinte di rosso. Alle sagre il vino va giù che è un piacere.
Ingenuamente avevo pensato che quando mi capita di bere, anche io lo faccio per dimenticare qualcosa. O per ricordarla meglio.
Non sapevo nemmeno che ti chiamassi Giordano.
Per me eri il signor Sella, il signore con il cane.

"E vabbè dai, non ci pensare" continuano a dirmi.

Giordano, volevo dirti che mi dispiace e mi piace immaginare, in un altra vita, il mio bambino sul balcone di pietra che fa angolo, che guarda con il naso all'insù il tuo cane e ti fa ciao ciao con la manina. 
A lui piacciono i bau, e sono sicura che a te, un giorno, sarebbe piaciuto avere un nipotino.

martedì, giugno 18, 2013

Al mio segnale scatenate l'inferno.

Io sono perfettamente integrata qui al nord.
Ho degli amici del nord, di genitori nordici, un lavoro del nord.
Ho persino un fidanzato che è per generazioni del nord. Nostro figlio porta un cognome che quando lo senti non puoi non dire "Questo è del nord"
Ho persino la "e" chiusa tipica e inconfondibile della mia città. A parte il resto dell'Italia che non capisce mai da dove arriviamo. Nel peggiore dei casi nemmeno sa dove si colloca la mia città natale appunto. 
C'è solo un problema. 
Tu forse non sai che nelle mie vene scorre dell'infuocato sangue meridionale e che il mio dna è la perfetta fusione tra un tarallo pugliese e una granita di mandorla siciliana.
Tu non puoi buttarmi addosso benzina, e pensare che io non prenda fuoco spontaneamente. 
Ti va solo bene che sono una persona estremamente educata e diplomatica. Ma ti va anche male che sono estremamente vendicativa e le ingiustizie, io, le vivo al pari di una fusione nucleare.  
E va bene che siamo nel 2013 e oramai si comunica solo con messaggi privati della responsabilità dell'interlocutore, che viene affidata a un tasto di invio o nel tuo caso a un pezzo di scotch.
Ascolta.
La porta al piano terreno sbatte perchè in questo palazzo di persone facoltose avete installato un minchia di semaforino per capire quando uno sale o scende dalla rampa del garage, che la sua manutenzione ci costerà quanto quella dell'Apollo 13, e nessuno è stato in grado di mettere invece un minchia di gommino sulla maniglia di ottone lucidato per non farla sbattere contro il muro. 
In questo palazzo fate a gara a chi ha il suv più grande, ma probabilmente se il vostro vicino dovesse morire in casa nemmeno ve ne accorgereste.
In questo palazzo stendete di notte di nascosto perchè avere i panni stesi di giorno fa troppo Napoli, ma non conoscete il profumo dell'ammorbidente che si confonde tra i raggi di sole.
In questo palazzo non salutate mai per primi il dirimpettaio, pardon, quello sconosciuto che abita sul pianerottolo, perchè siete dei maleducati, ricchi ma maleducati. E mia mamma prende il caffè da 35 anni con la vicina di casa tre volte al giorno. Che è meglio dell'antifurto meliconi.

Adesso partiamo dal presupposto che si, ho sbattuto la porta due volte perchè sono entrata con un passeggino e una triciclino appeso e non riuscivo a spingere perchè mi ero incastrata, tu, brutto codardo cafonazzo (che vuol dire cafone testa di cazzo) che non sei altro, che necessità avevi di gridarmi dalle scale senza nemmeno far vedere la tua bella faccia di merda?
Forse non ti è chiara una cosa. Io odio i maleducati. Sono la mia crociata n.1.
Ma soprattutto, piccolo particolare che forse hai sottovalutato, io abito sopra la tua testa.
Sai cosa vuol dire? Che in un palazzo, chi abita sopra l'altro ha sempre la meglio. Perchè io da domani, anzi da subito,io camminerò in casa solo a piedi nudi, sbattendo fastidiosamente ad ogni singolo passo il mio tallone a costo di farmi venire una tallonite.
Ma questo solo per avvisare.
Adesso, potrei scegliere la strada della diplomazia.
Ma no, questa volta mi sento di intraprendere la strada dell'Occhio per occhio.
Domani, il tuo cartello intimidatorio su cui hai scritto di non sbattere la porta, verrà goduriosamente stracciato e sostituito dal mio pezzo di carta al quale affiderò le mie responsabili e ironiche parole. 
Perchè solo l'ironia è sinonimo di intelligenza. 
Avere una grande macchina invece, no.
Indica solo un complesso di inferiorità.
E sai bene a cosa mi riferisco.

lunedì, giugno 17, 2013

Vite parallele.

Sarebbe bello alzarsi la mattina e andare a fare quello che ti piace.

Io, ad esempio, sarei stata una brava ginnasta.
Non sono molto alta, e ho le gambe che avrebbero potuto ospitare dei buoni muscoli.
E poi, a ginnastica artistica, la maestra mi aveva scelto per fare il saggio con quelle grandi.
Non so come si sarebbe poi evoluta la questione del seno però.
Sarei stata una brava ginnasta perchè a me piace fare sport. Poi vabbè non lo faccio perchè sono pigra.
Diciamo che mi piacerebbe farlo se non fosse che l'ascensore, per me, ha lo stesso ascendente che una birra ha per l'alcolizzato. Io non riesco a farne a meno. Anche se abito al secondo piano. Nemmeno in discesa. Poi, adesso che il mio ascensore arriva persino in cantina...
Sarei stata una brava ginnasta, perchè so come ci si sente dopo aver fatto sport.
Perchè so come ci si sente a fare una cosa che ti piace davvero.
Chissà come deve essere guardare le proprie gambe e sapere che sono le gambe della numero uno del mondo.
Magari la sera, mentre sei seduta sul divano dell'ikea con il tuo fidanzato, mentre sorseggi una birra con lui, ti guardi le gambe e dici:" Le mie gambe sono le migliori del mondo. Sono piccole tozze, eppure sono nate per fare questo"
Poi vai a dormire. E al mattino ti alzerai sapendo che stai per andare a fare una cosa che ti piace da morire. Tu sai fare solo quello e ti viene benissimo.
Forse per loro deve essere una cosa normale. Cioè non c'è tanto da stupirsi se io so fare una cosa e la faccio bene. Io ad esempio so fare benissimo le scaloppine con i funghi. o le polpette. Mi vengono morbidissime. Eppure non mi stupisco quando le faccio. Per me è una cosa banalissima.
Per un solo giorno vorrei che tutto il mondo sapesse che sono la più brava del mondo a fare una cosa.
Vorrei sapere come ci si sente.
Magari a vivere in un monolocale a Milano, avere il dolori del ciclo, dormire con il pigiama spaiato, avere nel frigorifero una confezione di gnocchi scaduta, le lenzuola nella lavatrice dal mattino, ma essere la più brava del mondo a fare una cosa.
E andare a dormire sapendo che domani farò quella cosa, che mi piace da troppo farla e non smetterei mai, e che tutti si aspettano che io faccia bene.
E se poi sbaglio sticavoli. Potrò sempre aggrapparmi al ricordo di essere stata la più brava del mondo , almeno per una volta.

mercoledì, giugno 05, 2013

Date da mangiare agli affamati.


"To' Ca', mangiati un crecche pure tu"

martedì, giugno 04, 2013

Non credo ci sia la necessità di aggiungere altro.

lunedì, giugno 03, 2013

Mamma, poco...poco...

Mia mamma dice sempre a tutti che io ho preso il suo latte fino a due anni abbondanti.

Dice che le tiravo la maglietta e le dicevo “Mamma...poco poco”
Io sorrido sempre quando lo racconta.
E’ per questo, dice, che ho le ossa forti. Poi dice anche sempre che un giorno ha bussato alla testata del letto e mi ha detto “Chi è? Uuuh é il vecchietto. Ha detto che oramai sei grande e non devi più ciucciare”.
E da allora ho smesso di bere il latte di mamma, senza nessun tipo di trauma.

A me nessuno aveva detto che il dolore dell’allattamento sarebbe stato uno dei dolori più dolorosi.
Più delle contrazioni. Veramente nessuno mi aveva detto nemmeno che le contrazioni sarebbero state così dolorose.
Ma l’allattamento.

Quando Santiago è uscito, la prima cosa che ho pensato è stata “Oh noo…ha il mio naso!”
Poi me lo hanno messo sulla pancia, lui ha tirato su la testa in cerca della mia tetta e la seconda cosa che ho pensato è stata: “Ma…ma…vuole già mangiare???”
L’ostetrica me lo ha attaccato e lui ha iniziato a ciucciare come se non mangiasse da mesi.
Istinto animale, ho pensato.
Lo ammetto: mi sono sentita subito una figa ed ero felice perché sapevo storie di bambini che non si attaccano, non ciucciano, che fanno fatica.

Mi è sembrata subito la cosa più naturale del mondo, a parte avere, il giorno dopo, occhi di amici, parenti, conoscenti e passanti puntati sulle mie tette. Ecco quello è meno naturale. Cioè di colpo tutti guardano il bambino, e subito dopo, il bambino attaccato alle tue tette. E tu che fino a poco tempo fa…voglio dire, non è che sia la cosa più naturale del mondo stare con le tette di fuori.
A meno che tu non sia una cultrice del topless.

Due giorni dopo avevo i capezzoli in fiamme. Da lì capii che forse tanto figa non lo ero.
C’era qualcosa che probabilmente sbagliavo. Ma non sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.
Di natura sono una che non ama disturbare, quindi ho chiamato poche volte le ostetriche perché pensavo, da stupida, che una mamma deve saper allattare da sola, seguendo la natura. Come fanno i gatti, i cani, e tutti gli altri animali che allattano, di cui non ricordo le specie.
Poi avevo sempre mani e dita di mamme, nonne, papà, nonni, zie, cugine infilate tra la bocca di mio figlio e la mia tetta: ”Mettilo su, guarda che non respira, tienilo alto, tienilo basso, attenta alla mano, ma mangia di nuovo? ma non avrà mica fame? mettiti sulla sedia, sulla poltrona, nel letto…”
E quindi le prime poppate sono state più cha altro uno stress acrobatico da circo con un bel sorriso di circostanza appiccicato alla bocca.
I primi mesi, lo dico in tutta onestà, sono stati una vera prova di resistenza al dolore e di educazione per non mandare a cagare qualcuno.

Io avevo deciso di allattare. E non sono mai stata così determinata in tutta la mia vita.
Volevo che anche Santiago avesse le ossa forti come le mie.
Ho pianto tanto. Ho pianto perché i miei capezzoli si erano tutti tagliati. Ma a Santiago sembrava che la cosa non fregasse minimamente.
Ecco quella è stata la mia forza. Lo guardavo ciucciare per resistere.
Ricordo che quando si avvicinava l’ora della poppata o quando mugugnava perché aveva fame, io iniziavo a sudare. A tremare. Mi uscivano le lacrime e mi irrigidivo tutta. Temporeggiavo, respiravo, lo avvicinavo e quando vedevo quella boccuccia che si faceva enorme, e che da lì a poco avrebbe succhiato con tutte le sue forze procurandomi ulteriori tagli., beh in quei momenti allattare non era tanto naturale.
Per me non sono esistiti pensieri tipo: ”Non avrò il latte”. Per me, mia nonna ha allattato, mia mamma ha allattato, mia zia ha allattato, mia sorella ha allattato. E io avrei allattato. Io volevo allattare.
Una specie di tradizione di famiglia.
La cosa che mi ha aiutata tanto, a parte la determinazione, era sentire mia mamma che stringendomi la mano mi diceva: ”Ci siamo passate tutte” o mia sorella che mi precedeva di 5 mesi che mi diceva: ”Tranquilla davvero, guarda che poi passa” o mia zia “A me usciva il sangue dai capezzoli, quello non è niente” o ancora l’ostetrica che mi incoraggiava come si incoraggia un atleta stremato vicino al traguardo.
Non ricordo quando il dolore è finito.
Ricordo solo che a un certo punto, all’improvviso, è diventato tutto un piacere.
L’ora della poppata era un momento intimo, magico, surreale. Vedere Santi che si addormentava con la tetta in bocca, o che ciucciava come un forsennato sbrodolandosi il latte dalla guance.
In quei momenti del resto del mondo non mi fregava niente.
Ho allattato ovunque. Persino intrufolata in una palazzine del centro città, seduta sui gradini freddi di pietra della scalinata principale. Santi non poteva aspettare.
E una delle cose più belle sono i sorrisi complici che ci si scambia con le donne, quando ti vedono farti cibo per il tuo bimbo.

Santi adesso ha tredici mesi. Ciuccia al mattino, alla sera prima di andare a nanna e ogni volta che ne abbiamo voglia. A me non frega dei pareri di nessuno. Mi sono affidata al mio istinto.
E beh ovviamente anche alle ostetriche, che sono le uniche figure professionali a cui ho deciso di affidarmi.
Quando mi chiedono: ”Ma ciuccia ancora???” A parte pensare “Ma fatti i c. tuoi” rispondo: “Si” con un bel sorriso, come a dire ”Ma certo, perché non dovrebbe???”
Il latte non è mai andato via, nemmeno quando ho attraversato un fortissimo periodo di stress.
Che non è la casa in disordine.

A volte guardo Santi che orami è quasi un ometto e gli dico “Santi forse è il caso di piantarla un po’ lì”
Ma poi lui mi sale in braccio, mi tira la maglietta e mi guarda come per dire ”Mamma…poco poco”
Vabbè Santi, aspetteremo quando un giorno passerà il vecchietto da queste parti…

giovedì, maggio 16, 2013

Specchio dei tempi.

Quante volte ho immaginato di vedere comparire le lettere nere, una dietro all'altra, intervallate da spazi, punti, virgole, puntini di sospensione...
Quante volte ho avuto qualcosa da raccontare, che non avrebbe potuto essere raccontato a qualcuno, ma solo scritto.
Qualcosa da appicicare al frigorifero, come un post-it giallo. 
Qualcosa da essere letto, riletto, corretto, profumato di punteggiatura.
Quante volte ho pensato: "Se solo avessi il tempo..."
Poi il tempo lo perdevo a scrivere cose inutili su una tastiera che per le mie dita è veramente troppo piccola.
Una tastiera che non ti importa nemmeno di mettere gli accenti o gli apostrofi al posto giusto.
Quante volte ho pensato e trasformato i miei pensieri in immagini e poi in film che poi però...
Però rimanevano imprigionati nella mia testa, mescolandosi alle bollette da pagare, il vaccino da fare, la spesa, ho perso le chiavi di nuovo, non ho pagato quella multa, il mangiare del gatto, la sabbia del gatto, non ho niente da mettere, potevo fare la lavatrice, ho un sonno che tra poco vomito.
Quante volte mi sono sforzata di immaginare delle storie, e non ci sono riuscita.
Ho cercato di andare indietro. Di riavvolgere il nastro, di riprovare la stessa sensazione di quando assaggi qualcosa di buono per la prima volta e chiudi gli occhi. E per un attimo ti dimentichi del mondo.
Quante volte ho cercato di ricordare. Ricordare per non dimenticare. Di strizzare gli occhi e non voler lasciare andare certi pensieri.
Quante volte avrei voluto fermarmi e dire: "ok adesso Devo scrivere".

Poi mi sono solo resa conto di una cosa.
Che ho paura.
Paura di tirare fuori i miei pensieri per paura che qualcuno possa impadronirsene. Possa farli suoi, ma soprattutto possa affilarli e usarli per ferirmi.
Paura di sentrimi dire che quello che penso è impensabile. 
Ogni tanto mi guardo allo specchio e cerco di capire se i miei pensieri si possono vedere dalla fronte.
Ogni tanto mi guardo allo specchio e vedo sempre la stessa bambina che si guardava allo specchio per capire cosa potevano capire gli altri di me.
Ogni tanto mi guardo allo specchio e vedo che ci sono delle sopracciglia che si staccano dal resto del gruppo e vanno in solitaria.

Dire quello che si pensa quando lo si pensa.
E' quello che sto cercando di fare.
Ed e' quello che sto cercando di dire. 

lunedì, marzo 25, 2013

L'anno Zero.

Pensavo che mi piacerebbe avere un diario segreto.
Ma di carta.
Di quelli con il lucchetto con le chiavi universali.
Di quelli che si regalavano da piccole ai compleanni delle amichette.
Quando ancora si andava in cartoleria con mamma a prendere il regalo.

Vorrei avere un luogo segreto dove mettere tutti i miei pensieri.
Anche quelli meno belli per il pubblico abituato a giudicare.
Mi piacerebbe lasciar scorrere l'inchiostro per comporre spartiti da rileggere quando sarò più grande e dire:
 "Oddio ma davvero pensavo così".
Piano piano mi stanno tornando in mente gli inizi.
Si, quegli inizi che quando guardi una cosa, ti immagini una storia.
Sono felice di questo.

Un po' come ne La storia Infinita, dove il Nulla distruggeva Fantasia, e allora per non farla distruggere bisognava sognare.
Ecco io ho ricominciato a sognare.
Sono sogni diversi da quelli che facevo prima.
Prima di Santiago.
Ora la mia vita è "prima di Santiago", "dopo Santiago"
Un pò come Avanti Cristo, Dopo Cristo.
Il 2012 per me é l'anno Zero.

L'unica cosa che mi resta da capire è se devo iniziare con:
"Caro Diario,..."

domenica, febbraio 24, 2013

Mi ricordo montagne verdi.

Ho iniziato con l'idea di preparare la cena per domani.
Ma dopo aver visto la cucina perfettamente pulita, mi è passata la voglia.
Allora sono passata a cercare di riodinare l'ammasso di carta abbandonata dentro l'alzatina di vetro dell'ikea.
In realtà quell'alzatina dovrebbe contenere sempre una torta fresca, ma le uniche due torte fatte da quando sono nella casa nuova, sono venute un disastro e allora ogni giorno immagino di averne fatta una.
Immagino una torta morbida con lo zucchero a velo che mi piacerebbe mangiare a colazione come nella pubblicità. Con tutta la famiglia sorridente intorno al tavolo.

Poi sono andata in bagno e ho lavato il pavimento del bagno.
Fra poco svuoterò la borsa, mentre il bagno assciuga e la carta è ancora sul tavolo.

E' sempre stata una mia prerogativa lasciare le cose a metà.
L'ho sempre fatto.
Inizio una cosa e non la finisco.
Mi annoio.
O meglio mi distraggo.
Poi ho talmente tante cose da fare, che temo sempre di avere poco tempo per farle e allora le accavallo, le mescolo le inizio e non le finisco.

E a un certo punto, mi è venuto in mente di quella volta che agli scout, ero in cima a una montagna.
Forse è stata l'unica volta che con gli scout sono arrivata così in alto.
E devo anche essermi ben lamentata durante tutto il tragitto.
Mi ricordo che avevo i pantaloncini corti e una giacca a vento rossa.
Forse non era rossa, ma mi piace ricordarmi così.
Faceva freddo, ma non troppo. C'era un pò di vento.
Non so se era proprio la cima ma mi ricordo che mi sono seduta in un posto da cui si vedeva tutto il panorama a 360°.
Ero emozionata.
Avevo pensato che il mondo deve essere grandissimo.
Si vedevano tutte le montagne e quello, ecco quello è stato l'unico momento in cui ho sentito la libertà.
Ogni tanto mi viene in mente quel panorama.
E sento una stretta al cuore.